Il ‘700

Il Settecento è il secolo che fece registrare l’ascesa più consistente dell’insediamento: i 2.335 abitanti del 1708 nel 1797 erano saliti a 5.700, malgrado il perdurare della depressione economica e delle lotte secolari con Teggiano[1], per strappare alle acque del Tanagro le poche terre da coltivare. Accanto alla ripresa demografica si verificò la ristrutturazione del patrimonio edilizio ad opera principalmente delle numerose famiglie patrizie, che nel ‘700 edificarono gran parte delle loro dimore al di fuori della Civita(Figura 20).

Figura 20 – Il Vallo di Diano agli inizi del ‘700.
Disegno di D. De Rossi del 1714. Biblioteca Nazionale Napoli

E’ possibile ammirare Sala in quell’epoca grazie ad una splendida incisione di Gherardo Saverio Gatta del 1728, attraverso la quale il volto dell’antica cittadina si è tramandato fino ai nostri giorni: un grazioso centro abitato con le sue strade, le case, i palazzi, le chiese… (Figura 21 ).

Figura 21 – Sala nel Settecento (G. S. Gatta, 1728)

Dalla litografia  si legge lo sfondo “…del Massiccio della Maddalena, sul punto più in alto del quale si scorgeva la piccola cappella della Madonna di sito Alto; poco più giù e ai due lati del disegno, da un canto i ruderi d’un vecchio maniero, dall’altro il santuario dedicato al “gloriassimo Principe S. Michele Arcangelo” Protettore della Città di Sala, posto sull’apice di un colle della Balzata. Dalle altezze di quei luoghi impervi e solitari, dalle mura dirute del castello superbo a quelle mistiche del santuario dal quale l’Arcangelo garantiva una ben più sicura protezione, l’immagine mostra, scivolando dalle rapide balze appenniniche, la più tranquilla e piana  fascia di terra a piè dei monti. Qui, adagiata inconsapevolmente nei pressi di un secolare sepolcreto degli antichi padri che un tempo avevano animato quel posto di culture arcaiche, si estendeva la città. Le sue case addossate le une alle altre, si disponevano in lunga fila dal vallone di Sant’Eustachio al cinquecentesco convento dei Padri Cappuccini.   I rioni erano lì, agglomerati intorno a precisi punti di riferimento, a celare il segreto di una storia fino a quel tempo mai interrogata, e, mentre l’occhio scorreva tra quelle piccole e grandi case, tuguri e palazzi, variamente dipinti a colori vivaci e popolari, alti campanili interrompevano con acuto senso di verticalità quella serie allineata di costruzioni uniformi nella successione orizzontale. Da un lato all’altro dell’abitato si susseguivano le antiche chiese dove s’affollavano un folto clero e assidui fedeli. Diversi tra loro per classe e per natali, erano tuttavia uniti da una profonda, comunque religiosità, alimentata quotidianamente da una tradizione secolare. La vita era dura, l’indigena cronica, la gente povera; la fede rischiarava quei volti e dava loro un ricetto accogliente nelle chiese di Sant’Eustachio, San Leone, Santo Stefano. E ancora, tra le arroccate case della Civita, si scorgeva che la piccola traccia di un muro sepolto nel cemento e il nome, ultimo segno tenace dell’antica fondazione. Scendendo più a valle, si distinguevano poi, quasi due corpi gemelli, le chiese di San Nicola e della santissima Annunziata, quest’ultima costruita nel XIV secolo dell’Università di Sala. Di li continuando, sarebbe emersa la sagoma di un’altra chiesa, San Pietro, della cui costruzione originaria non resta che il campanile, il più bello e singolare tra tutti per mole e altezza. In essa i Vescovi di Capaccio, che in Sala fissarono per lungo tempo la loro dimora, posero le insegne religiose, che conferivano distinzione e prestigio: sull’arco trionfale erano infatti la mitra e il pastorale, simboli di quel potere spirituale che da Sala s’irradio per la estesa diocesi.

Le case ormai diradavano nell’ultima propaggine del Borgo Nuovo; poco più discosto, all’estremo lembo di quell’immagine, v’era il convento dei Cappuccini, delimitato da un solido recinto di spesse mura. Di buon mattino, i fraticelli partivano a mendicare per i paesi limitrofi, donde tornavano sul far della sera con i frutti generosi della questua.

Gli spazi, che dal limite dell’abitato digradavano al fondovalle all’antica via consolare, erano tutti fitti di preziosi uliveti, allora come ancora in parte oggi, cornice sempreverde a quel quadro variamente composito da montagne brulle e pericolosamente spoglie, da mura turrite e dalla lunga fila di case, ove si conduceva una vita laboriosa” (Enrico Spinelli,“Sala nel Settecento”, edizione della biblioteca di Sala Consilina  1983).

Indubbiamente il secolo XVIII rappresento un momento significativo per il progresso della città registratosi in quella occasione e a tutt’oggi ancora evidente nel complesso di significative testimonianze.

Alla notevole contrazione demografica verificatasi in seguito alla peste del 1656, tanto che il numero dei fuochi si era sensibilmente ridotto dai  611 del 1648 ai 189 del 1699, fece seguito, lungo il corso del settecento, una graduale ripresa che porto’ il numero dei cittadini dai 2335 del 1708 ai 5700 del 1797. A quella data, Sala costituiva, dopo Padula, il centro piu’ popoloso del Vallo (Figura 22).

Figura 22 – S. Michele, patrono di Sala, in una rara incisione settecentesca

L’incremento demografico produsse diversi effetti che oggi riusciamo ancora a cogliere nella loro portata; primo fra tutti, lo sviluppo dell’abitato, che si arricchiva di un notevole patrimonio edilizio. Lunghe cortine di case a schiera dall’Ariella a San Raffaele, per il piu’ compatto e fitto agglomerato compreso tra Sant’Eustachio e la Valle, ne sono testimoni attraverso le date, ricorrenti numerose su chiavi di volta ed architravi. Per tutto il percorso correva la fila delle case; le une sulle altre e simili tra loro, tutte con la porta sulla stretta ed unica via di passaggio, ognuna col suo pezzetto d’orto che digradava a valle tra terrazze d’ulivi (Tav. “La struttura urbana”).

Le famiglie gentilizie, tipica espressione di quella nobiltà terriera del nostro Mezzogiorno, edificarono le proprie dimore, lasciando così segno eloquente di per sé per gli anni a venire: nei primi del secolo i Caratù, i Grammatico, gli Acciari arricchirono la città di veri e propri palazzi, resi ancor più superbi dal gusto e dalle virtù ornamentali di quell’epoca.

Il palazzo Cardinale, nel quartiere di San Raffaele, rappresenta molti elementi decorativi, scaloni in pietra e pavimenti in cotto (Figura 23).

Figura 23 – Palazzo Cardinale

Nelle vicinanze della chiesa di S. Pietro, cattedrale a quel tempo, sorge il monumentale Palazzo Acciari (ora Vesci) caratterizzato da un’ imponente ed artistico portale d’ingresso con arco in pietra di Padula e fronte con stemmi, poggiante su due possenti colonne coronate alla sommità da pregevoli capitelli; l’architrave superiore sorregge la bellissima e decorata balaustra in colonnine di pietra che protegge la terrazza.

Dal portale si accede in uno spazioso atrio rettangolare a sostegno della terrazza sovrastante con struttura ad arcate di aspetto rinascimentale: da una parte vi è un piccolo giardino e di fronte lo scalone principale in pietra, che porta al piano superiore costituito da diversi grandi e maestosi ambienti, oggi vuoti e disabitati. Nelle cantine sottostanti è tuttora conservato un grande torchio vinario in legno, perfettamente funzionante ed in buono stato di conservazione (Figura 24).

Figura 24 – Palazzo Acciari

Altro complesso edilizio imponente del secolo XVIII è l’edificio appartenuto alla famiglia baronale dei Grammatico, titolare del feudo di San Damiano, la cui presenza è documentata a Sala sin dal 1489. L’edificio, nonostante un certo abbandono e taluni interventi che, in tempi recenti, ne hanno deturpato l’aspetto, rivela ancora le caratteristiche del suo tempo: il portale di pietra, poggiante su due leoni stilofori, con bugne dai fregi floreali e animali; l’imponente stemma baronale; mascheroni, balconi e finestre realizzati in pietra locale; corte interna lastricata e scalone pure in pietra; antico giardino (Figura 25).

Figura 25 – Palazzo Grammatico

Nelle vicinanze del Palazzo Grammatico si intravede anche il Palazzo della famiglia Caratù che presenta un suntuoso portale di ingresso con stemma familiare sovrastante (Figura 26).

Figura 26 – Palazzo Caratù

Lo stesso Palazzo Bove subì in questi anni grandi lavori di ristrutturazione, come sono testimoniati dal pregevole portale di ingresso nella corte in pietra di Padula (Figura 27).

Figura 27 – Palazzo Bove

Un altro pregevole portale è quello del Palazzo Falcone, anch’esso in pietra di Padula (Figura 28).

Figura 28 – Palazzo Falcone

Anche il palazzo Vairo subì in quel periodo grandi opere di ristrutturazione che lo ampliarono e lo arricchirono di molti elementi ornamentali.

Nel 1765 i fratelli Pietro e Michelangelo Vajro fecero costruire nel giardino un pozzo con conchiglia su cui è incisa un’epigrafe in latino. Ai due lati cariatidi sorreggono due colonne corinzie, sulle quali poggia una trabeazione sormontata da un busto. Il palazzo è articolato su tre piani con copertura e giardino con il pozzo, fontana e vasca con zampillo. Al piano nobile gli affreschi sono rifacimenti di guazzi risalenti al ‘600/’700 (uno degli autori era un Volpe di Padula) (Figura 29).

Figura 29 – Palazzo Vairo

Anche l’odierno corso Gatta presenta, lungo i lati della stretta strada, alcune costruzioni di un certo interesse: si tratta di edifici sette-ottocenteschi, un tempo appartenuti a famiglie della borghesia cittadina. Un esempio è il Palazzo Romano, arricchito da un portale in pietra a tutto sesto sormontato dallo stemma familiare: la lupa capitolina che allatta Romolo e Remo (Figura 30).

Figura 30 – Palazzo baronale Romano

Testimonianze di quel perduto splendore anche le cappelle gentilizie degli Acciaro (Figura 31) e dei Bigotti (Figura 32), che sorsero ricche di marmi policromi e di pregevoli pitture nei pressi di quelle abitazioni.

Figura 31 – Cappella Acciari

Figura 32 – Cappella Bigotti

Ed ancora: fu ristrutturata la vecchia chiesa di S. Eustachio, da tempo ormai degradata nella fabbrica per effetto di antichità (Figura 33).

Figura 33 – Chiesa di S. Eustachio

Arricchita di pregevoli stucchi, la chiesa di S. Stefano, che si abbellì anche di affreschi firmati da un’artista locale, Anselmo Palmieri da Polla, molto attivo e rinomato a quell’epoca (Figura. 34).

Figura 34 – Chiesa di S. Stefano

Furono anni di fervore costruttivo e le maestranze locali, giovandosi di quella favorevole opportunità, ebbero modo di perfezionare e qualificare la loro opera ora nel lavorare abilmente la pietra a scalpellatura, ora nel fornire arredi e suppellettile, degni del migliore artigianato.

Singolarmente significativo fu questo periodo per la città di Sala, la cui nobiltà fu illustrata esemplarmente da due studiosi, egregi per dottrina e virtù morali: Costantino Gatta e Alfeno Vairo; entrambi di nobilissimi natali, ci hanno reso eredi di notevoli frutti che il loro sapere produsse. Il primo cresciuto ed educato in una famiglia in cui la medicina, le scienze giuridiche e storiche erano esercitate con particolare cura e dedizione, si rese benemerito nella professione medica, nonché per i suoi studi storici sulla Lucania, che egli pubblicò in opera a stampa.

Domenico Alfeno Vairo, teologo dottore in utroque jure, giurista e storico al tempo stesso, fu presso il prestigioso Studio di Pavia professore universitario di chiara fama; per i suoi meriti di scienziato fu acclamato Rettore di quell’Università, mentre intratteneva fitte corrispondenze con le più eminenti intelligenze di quel tempo. Una vasta produzione di opere ci tramanda il suo studio e il suo sapere giuridico, che fornirono per il tempo a venire esempio per gli altri illustri dottori del giure, che la città vanta: da Diego Gatta a Giuseppe Mezzacapo, da questi ad un altro Principe del Foro, nostro contemporaneo, l’avvocato Alfredo De Marsico.


[Nota 1] Cfr. Cassese, op. cit., p. 398.

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